
Avete presente quando entrate in un luogo e vi sentite accolti? La luce, lo spazio, gli arredi, gli oggetti: tutto sembra avere la sua collocazione ideale. Girate gli occhi, voltate lo sguardo e sì, l’impressione si conferma. È proprio un luogo bello in cui entrare. È quello che si prova entrando da Spazio HUS, nel cuore di Brera, a Milano.
Un luogo dove i mobili dialogano con le lampade, le lampade con le librerie, le librerie con le sculture, le sculture con i quadri appesi alle pareti.
Già, perché alle pareti è possibile ammirare i lavori di Shuhei Matsuyama.
Ora vi starete chiedendo come mai vi parliamo di questo spazio e in particolare di questa mostra. Beh, perché una delle caratteristiche principali delle opere di Matsuyama è l’uso di carta giapponese.
Nei quadri esposti la carta viene utilizzata sovrapponendola strato su strato come a creare delle venature pittoriche. Questo processo di stratificazione di carta e pigmento crea una superficie dell’opera estremamente rugosa e rimanda all’idea del materico.
Un utilizzo così sensibile e vibrato della carta è possibile grazie alla natura stessa della carta giapponese. Questa carta, infatti, ha delle peculiarità che consentono a stampatori, pittori, calligrafi, arredatori, scenografi… un ventaglio di possibilità e di resa artistica.



Prodotta a mano secondo un metodo tradizionale millenario, è così pregiata da essere diventata nel 2014 Patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO. Per distinguerla dalle altre carte, la carta giapponese è chiamata Washi.
Nonostante le origini e la storia così antiche, in Giappone l’attenzione per la carta continua a essere molto viva e forte ed emerge anche in tanti momenti della quotidianità: basta entrare in un negozio e comprare un qualsiasi oggetto per vederlo impacchettato in una carta bellissima, multicolore, pregiata, una carta che sicuramente si è portati a conservare.
Come si produce la carta giapponese
Tre sono le tipologie di fibre che compongono la carta Washi: Gampi, Mitsumata e Torinoko kozo, scelte appositamente per la loro lunghezza e resistenza. Vengono estratte da una pianta simile al nostro gelso, di cui si utilizzano le cortecce, raccolte in un determinato periodo dell’anno e fatte asciugare ed essiccare finché arriva l’inverno. Durante questa stagione, infatti, le fibre vengono esposte alla neve — le cartiere sono normalmente situate in zone montuose — che insieme all’azione del sole riesce a sbiancarle fino a far assumere loro la colorazione bianco naturale. Vengono poi lavorate e passate con degli scoli, mischiate con la colla, i pigmenti e tutto ciò che serve per creare le varie tonalità di colore.
Le proprietà della carta giapponese
Queste carte sono uniche perché hanno durabilità che si mantiene nel tempo. Tant’è che i più antichi reperti di carta esistenti al mondo sono reperti in carta giapponese.
Infine, le carte Washi hanno delle caratteristiche organolettiche naturali che le rendono immuni dall’attacco di agenti esterni e parassiti. Dobbiamo ringraziare la carta giapponese se le nostre biblioteche riescono a conservare i loro preziosi volumi. Sono i fogli di carta Washi che vengono intercalati tra una pagina e l’altra delle edizioni occidentali per preservarle più a lungo nel temp